Gli articoli di Atelier Carenzio
Martin Margiela – Palais Galliena
Le mostre e le esposizioni a Parigi sono sempre numerose, una tra queste sicuramente degne di nota è stata la retrospettiva dedicata al fashion designer belga Martin Margiela, allestita al Musée de la mode Palais Galliena, dove si è ripercorsa la carriera dello stilista a partire dalla sua collezione spring-summer 1989 alla collezione spring-summer 2000.
Visitare questa esposizione ha significato, immergersi in un “mondo altro” della moda, un mondo folle, per alcuni versi surreale e irriverente, lasciando da parte i canoni classici della couture, per entrare nella rivoluzione del fashion system apportata da Margiela, unico designer belga della sua generazione, classe 1957, a fondare una casa di moda con il proprio marchio a Parigi, aprendo il proprio atelier in St. Denis.
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Martin Margiela rivoluziona il concetto di estetica della moda, destruttura i capi, inventa scarpe ispirate ai TABI tradizionali giapponesi, riprende abiti vintage e li trasforma facendoli diventare capi iconici del suo stile, dando vita a una propria linea “Artisanale”, brand ora di proprietà di Renzo Rosso, e affidata a un altro genio della moda, ovvero John Galliano.
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Come vi ho già detto Margiela rimette in discussione l’estetica della moda, studia la costruzione di un abito per poi scomporlo, rivelando il suo inverso, mettendo in evidenza tutto ciò che normalmente nella “façon” di un abito rimane nascosto: filo per l’imbastitura, pieghe, spalline, ecc. Il bianco sarà il suo colore feticcio che declinerà in tutte le sue sfumatura.

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Spesso Margiela, diplomato presso la prestigiosa Académie Royal de beaux-art di Anvers, viene associato ai “six d’Avers”, i sei creatori belgi che hanno rivoluzionato il mondo della moda negli anni ’80, considerati come i precursori del “decostruzionismo”, una sorta di “smontaggio e rimontaggio” degli abiti dando vita a un mix di forme tra il punk e l’avanguardia giapponese. Forse il suo è uno stile che incontra il gusto di pochi, non facilmente indossabile, certamente non per tutti ma sicuramente anche chi non trova nella moda di Margiela fonte di ispirazione, converrà che la “sua moda” si inscrive in un quadro di cambiamento che ha segnato gli anni ’80, creando di sé il personaggio del designer senza volto. Non si mostra in pubblico, non concede interviste, una sorta di fantasma, lasciando le etichette degli abiti bianche, senza griffe.

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I luoghi in cui sfila sono lontani dalle luci patinate delle passerelle, al contrario sceglie luoghi vicini agli ambienti underground e decisamente anticonvenzionali, come le stazioni della metro, magazzini e parcheggi, immergendo la propria moda nel contesto urbano. A Palais Galliena Musée de la mode, potrete divertirvi, stupirvi ed in alcuni casi anche rimanere a bocca aperta, seguendo un percorso che mette in mostra 130 manichini, filmati, video di sfilate ed installazioni che vi faranno conoscere il genio di Martin Margiela. Rimarrete sorpresi nell’osservare i cappotti oversize e le giacche di capelli che sono solo alcuni dei capi più spettacolari.

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Considerato come il figlio spirituale di Jean-Paul Gaultier, presso il quale lavorerà sino al 1984,  Margiela farà dell’anonimato il suo motto, “il non apparire” diventerà anche una caratteristica delle sue sfilate. Le modelle, per focalizzare l’attenzione sugli abiti, verranno rese anonime facendo loro indossare dei cappucci che impediranno di vederne il volto. Anche i materiali utilizzati per realizzare le sue creazioni sono del tutto inusuali, plexiglas, sacchi della spazzatura o teloni, in questo modo, il suo approccio alla moda diventa totalmente surrealista, con un’attenzione particolare all’arte de riciclo. Trasformando ad esempio dei calzettoni militari in maglioni o dei guanti in pelle in corsetti, la parola d’ordine diviene: scomporre per ricomporre.

Quando io taglio un vestito nuovo o vecchio, non penso di distruggerlo ma di farlo rinascere sotto un’altra forma.

Questo dirà Margiela in una delle sue rarissime interviste, sottolineando non solo l’attenzione nel riutilizzo degli abiti ma anche sul “no logo”.

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Margiela diventerà fonte di ispirazione per molti stilisti negli anni a venire, basti pensare agli “bottes-leggins” di Demma Gvasalia per Balenciaga o ai pull oversize e strappati di Raf Simon nel 2016. Nel 1997 Martin Margiela viene nominato direttore artistico della maison Hermes dove, pur mantenendo la tradizione del lusso e sartorialità della griffe, sperimenta sulle strutture tradizionali degli abiti, realizzando maglioni reversibili e cappotti-mantella. Collabora con Lady Gaga agli albori della carriera della pop star e nel 2000 apre la sua prima boutique a Tokio. Da allora il nome di Martin Margiela entra a far parte dell’Olimpo degli stilisti contemporanei e nel 2012 la Fédèration francaise de la couture attribuirà alla maison Martin Margiela il titolo di “Haute Couture”.

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Non è sicuramente facile creare una retrospettiva né tanto meno scrivere di chi ha fatto del “non comparire” il proprio mantra ma nel mondo della moda è ormai indiscutibile che il lavoro di Margiela, tra gli anni ’80 e ’90, sia stato fondamentale e fonte di ispirazione per le nuove generazioni. Spiegare la sua filosofia non è semplice anche perché il suo protagonista è inafferrabile da anni, ciò che rende costantemente viva la sua moda è la passione con cui gli addetti ai lavori parlano di lui e il riconoscimento che il suo lavoro merita.

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